il Friuli
la mia terra
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NELLA PATRIA DEL FRIULI – DA GIAN DOMENICO FACCHINA ALLA SCUOLA DEI MOSAICISTI DEL FRIULI
Cari amici, il collegamento che segue è un atto dovuto poiché parla della mia terra e della mia passione di mosaicista.
Una narrativa sostanziosa sull’argomento è proposta dal canale YouTube “we keep in touch” nel quale vi invito caldamente ad entrare per saperne di più (basta cliccare la scritta con il fondo blu). Lì troverete tanti video di grande effetto culturale. A nome di tutti gli interessati ringrazio “we keep in touch” per l’opportunità offertaci.
La descrizione del video che segue inizia così: “Tutto è iniziato, secoli fa, da quel teorema di paesi, paesucoli e borgate, che decora il pedemonte del Friuli Occidentale, dove escono in pianura i torrenti Cellina, Colvera, Meduna, Cosa e Tagliamento.
Da qui fin dal XVI secolo partivano per Venezia e in seguito anche per l’Oltralpe o l’Oltreoceano i mosaicisti e i terrazzieri. Non semplici braccianti, ma artigiani, operai specializzati si direbbe oggi, senza scuole o diplomi, ma con nelle mani abilità imparate fin dall’infanzia dai padri e dai nonni. Un sapere antico, insegnato o suggerito dalla stessa terra in cui abitavano. I torrenti che scendono dalle valli, quelle immense colate di ghiaia, erano e sono una miniera di materie prime che ispirano opere d’arte.” continua a leggere
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Il sum
Forc’ four la neif à già sipilît la cjera
borc suturnu di Hiroshima.
Forc’ al è già stât il sclop
e nô j sin la memoria de nô, l’ultima
prima da sparî tal silos universâl.
E tu, lotadora indurmindida, j tu sumiei.
Sul punt di Sydney il vint
‘a ti âlcia i cjavei nêris scjampâs ai fermos.
Onda! ‘a ti clama lui
Mari ‘a ti clamin i fis soravissûs.
A’ pàssin lents i bastimìns, sunant
a’ cjapin il larc, a’ son già sparìs.
A’ passa ta l’aga fonda tô mari pinsirôsa
«Mari, unmó viva a’ mi àn mitût fra i muars!»
Ridint j tu segni lajù tra li’ cjasi’ dal puart
la fignestra di cjasa vissin al Macel Cumunâl
‘dulà i becjers a’ regàlin retàis di cjâr
ai canàis taliàns grecos spagnoi.
Da chê fignestra il punt
al è un soul varc, un svual…
La buera ‘a na ti svea. Denant di te
mê Rigina ‘a ferma la sô corsa. ‘A cola.
IDA VALLERUGO
il sogno
Forse fuori la neve ha già sepolto la terra
borgo buio di Hiroshima.
Forse è già avvenuta l’esplosione
e noi siamo la memoria di noi, l’ultima
prima di sparire nel silos universale.
E tu, lottatrice addormentata, sogni.
Sul ponte di Sydney il vento
ti solleva i capelli neri sfuggiti alle forcine.
Onda! ti chiama lui.
Madre ti chiamano i figli sopravvissuti.
Passano lente le navi, suonando
prendono il largo, sono già sparite.
Passa nell’acqua fonda tua madre pensierosa.
«Madre, ancora viva mi hanno messa tra i morti!»
Ridendo, indichi laggiù tra le case del porto
la finestra di casa vicino al macello comunale,
dove i macellai regalano ritagli di carne
ai bambini italiani greci spagnoli.
Da quella finestra il ponte
è una sola arcata, un volo…
Il vento non ti sveglia. Di fronte a te
Regina mia, ferma la sua corsa. Cade.
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I me plas autun e invier
Quan’ ch’i se san dus i nis
Che no ài mai ciatà de istà
Antonio De Biasio
Mi piacciono autunno e inverno
Quando si sanno tutti i nidi
Che non ho mai trovato d’estate
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Me alze co ‘l scrinzèt.
Come lu me sinte picinin,
ma manco de lu contento
in ‘sto mondo cussì grando.
Lu sora ‘na rama el canta,
mi tase rampegà co fadiga
su ‘sto scaràzz de la vita
che sbrega braghe e cuor.
L’è tempo de brumèsteghe,
de costioe roste de porçel
e de vin novo che speta
el Nadal par farse ciaro,
de caivi fissi che sconde
i monti e lustra i copi.
El sol riva a tera tamisà
sul formento mort de fredo.
L‘è ora de pensar al caivo
grando, co i oci se sera
par sempre e la brumèstega
se ferma là sora ‘na piera.
ROMANO PASCUTTO
Mi alzo con lo scricciolo.
Come lui mi sento piccolo,
ma meno di lui contento
in questo mondo così grande.
Lui sopra un ramo canta,
io taccio arrampicato con fatica
su questo grande ramo della vita
che lacera vesti e cuore.
È tempo di fredde brume,
di costicine arrostite di maiale
e di vino nuovo cha aspetta
il Natale per farsi chiaro,
di nebbie fitte che nascondono
i monti e fanno lucenti i tetti.
Il sole arriva a terra setacciato
sul frumento morto di freddo.
È ora di pensare alla nebbia
grande, quando gli occhi si chiudono
per sempre e la bruma bianca
si ferma là sopra una pietra.
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pensiero scritto da Pier Paolo Pasolini e tratto dai “Saggi sulla politica e sulla società“, Mondadori, 1999, pag. 861. Si ringrazia l’opera di ricerca di Daniela Matta (raggiungibile su Facebook.com) |
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