Mondovallan e l’Islam

diverse prospettive

 

NIZAR QABBANI

RAFFIGURAZIONE DEL TEMPO GRIGIO
(1)
È dall’infanzia che cerco
di raffigurare il mio paese.
Ho disegnato case
ho disegnato tetti
ho disegnato volti.
E minareti dorati ho disegnato
e strade deserte
dove sdraiarsi per lenire la stanchezza.
Ho disegnato una terra chiamata metafora,
la terra degli arabi.

È dall’infanzia che cerco di disegnare una terra
che mi tratti con gentilezza
se infrango il vetro della luna
e mi ringrazi se scrivo versi d’amore
e se inseguo l’amore mi lasci fare
come un uccello, sugli alberi.
Cerco di disegnare una terra
nella quale gli uomini ridano … e piangano come gli altri uomini.
Cerco di liberarmi dai miei modi di dire
e dalla  maledizione del soggetto e del complemento oggetto,
di scrollarmi la polvere dalle spalle
di lavarmi il viso con acqua piovana.
Cerco con l’autorità della sabbia di abbandonare il campo …
Addio Quraish
Addio Kulayb
Addio Mudar .
 
 
 
(2)
Cerco di disegnare una terra
con un parlamento di gelsomini
con un popolo schiavo del gelsomino
le cui colombe si addormentino sul mio capo
i cui minareti piangano nei miei occhi.
Cerco di disegnare una terra
che sia amica della mia poesia
e non si intrometta tra me e i miei pensieri
nella quale non marcino gli eserciti
sulla mia fronte.
Cerco di disegnare una terra
che mi ricompensi se brucio i miei abiti
e mi perdoni
se straripa il fiume della mia follia.

 

Tecnica : mista su tela
misure : cm 30 x 30
luogo : collezione privata
(3)
Cerco di disegnare una città dell’amore
priva di vincoli
dove le donne non vengano immolate
e il loro corpo addomesticato.
Ho viaggiato a sud
ho viaggiato a nord
ma inutilmente.
Il caffé di tutti i locali ha lo stesso aroma
tutte le donne quando si spogliano
hanno lo stesso profumo.
Tutti gli uomini della tribù non masticano il cibo
ma inghiottono le donne
in un solo boccone.
(4)
Ho cercato sin dall’inizio
di non somigliare ad alcuno.
Ho sempre respinto i discorsi in scatola
e rifiutato qualsiasi idolo.
Ho tentato di bruciare tutte le parole di cui mi sono rivestito:
a volte le poesie sono una tomba
e le lingue un sudario.
Ho disegnato l’emorragia dei bar
ho disegnato la tosse delle città
e ho preso appuntamento con l’ultima donna
e tuttavia … sono arrivato a tempo scaduto.
Cerco di disegnare una terra
dove il mio letto sia solido
e solida la mia testa
perché possa dalle navi avvistare la costa.
Ma loro … mi hanno requisito la scatola dei colori
e non mi permettono
di raffigurare il volto del mio paese.
Nizar Qabbani                             
(in arabo: نزار توفيق قباني‎, Nizār Tawfīq Qabbānī; Damasco, 21 marzo 1923 – Londra, 30 aprile 1998) è stato un diplomatico, poeta e editore siriano, tuttora uno dei più importanti e più famosi poeti arabi nei tempi moderni.
Ho dipinto Alhambra per evocare l’intelligenza della cultura araba. Il mondo islamico purtroppo vive un’irrequietudine che si accompagna male con la sua storia fatta di sapienza e di genialità. Basti pensare a cosa sarebbe la nostra civiltà priva delle teorie algebriche di ideazione araba. Lo zero, per esempio, valore insignificante, oggi regge gran parte della nostra scienza matematica.
Ho dipinto una scena vivace in contrapposizione al “grigio” che dà il titolo alla poesia. Il fine è di raffigurare la speranza in contrasto con il pessimismo del poeta. L’iconoclastia del mondo islamico viene qui sostenuta come ipotesi degna di attenzione al punto che il soggetto pittorico è privo di modelli reali. 

Khaled Hosseini

Questo momento mi appartiene
Questo momento mi appartiene
Per il peregrinaggio e lo sconforto
Per tutto ciò che è stato e non è più
Le orme dei miei piedi segnano il tracciato di molti confini
Da Kabul a Roma
Da Tamerlano a Giulio Cesare
Passando per terre che trasudano de Gobineau
Questo momento mi appartiene
Ed io lo regalo a mia madre
Che per tutta la vita ha ricamato i suoi desideri
Su scampoli di cotone
Solo per permettere a mio padre
Di soffiarcisi il naso
Per le mie sorelle isolate dal mondo
e per i miei fratelli
che al posto dei libri
senza averne l’intenzione
hanno imbracciato i fucili
Questo momento mi appartiene
ed io lo donerò alle lacrime e alle grida
affinché il riflesso e l’eco
sveglino i sordi e ridiano la vista ai ciechi
della mia città
Questo momento non mi appartiene più
è tempo di andare
tocca a me raccontare le acque vagabonde
del Mediterraneo
affinché le orme dei miei piedi divengano indelebili
L’albero della vita
Tecnica :  acrilico su tela
misure :  cm 40 x 40
luogo : collezione privata
Khaled Hosseini                   
(in dari خالد حسینی; Kabul, 4 marzo 1965) è uno scrittore e medico afghano naturalizzato statunitense...wikipedia
I  tormenti di Khaled.
Per comprendere appieno questa “lirica” forse tutti noi dovremmo riconsiderare il fenomeno dell’immigrazione e rivedere i nostri pregiudizi riguardanti le popolazioni di cui sappiamo poco o, peggio, nulla.
La sofferenza non è data solo dal dolore ma anche e soprattutto dall’umiliazione e dalla mancanza di certezze. E’ da dire al proposito che, forse, l’unica certezza di cui la gente afghana oggi è consapevole consiste in una gabbia in cui la libertà di espressione  è “imprigionata”.
Nella nostra costituzione l’articolo 21 garantisce la libertà di pensiero.
Si tratta di una conquista che per realizzarsi ha impiegato migliaia di anni. E’ opportuno notare che i ritmi della “Terra” sono diversi in relazione alle diverse situazioni geografiche e alle diverse ricchezze materiali che i territori  offrono ai loro abitanti.
La libertà di espressione è un diritto che si è formato attraverso  la crescita di una consapevolezza individuale che, patrimonio messo in comune, è diventata collettiva laddove l’ambiente sociale lo abbia permesso.
Pertanto noi  non  dobbiamo generalizzare e dobbiamo  coltivare la speranza che le condizioni favorevoli si realizzino in luoghi diversi dal nostro.
Dobbiamo considerare che la gente spesso, nei paesi più remoti,  non può fare e non può dire ciò che pensa soltanto per cause di forza maggiore.  La tirannide, ad esempio, è una soluzione umana che è conseguenza dello stato di bisogno di alcuni sfortunati (tanti) al cospetto di altri verso i quali la natura è stata benevola (pochi). Il potere, in questi posti,  diciamo remoti, è spesso esercitato in modo crudele.
Noi occidentali, assuefatti al benessere della nostra abbondanza,  senza curarcene ci lamentiamo  anche del meglio che non arriva (quando non arriva) e ragioniamo intorno al comportamento altrui senza avere alcuna esperienza dei disagi quotidiani dovuti alla miseria, alla fame, ai soprusi e all’immanenza di morte che grava senza soluzione di continuità sulla testa della povera gente.
Noi rischiamo di credere che tutti siano uguali, conseguentemente, se in miseria, “poveri” per negligenza o inettitudine.  Corriamo questo rischio soltanto perché siamo accerchiati dalla nebbia dell’ignoranza e conseguentemente non riusciamo a vedere la verità. Non riusciamo nemmeno ad immaginarla se è vero che per immaginare ci deve pur essere un aggancio con la realtà.
La tirannia di pochi  crea icone che non possono identificare lo spirito di un’intera popolazione.
Nel mio quadro, tra i fumi della nebbia, emerge un albero che cresce e si sviluppa nonostante ogni tentativo di soffocamento.
Su quell’albero nascono i frutti della speranza.
Prova a rileggere la poesia e riguarda il mio lavoro dopo aver letto questo commento…